La replica di Linkiesta alla puntata di Report sul franchising.
Cara Report, nel Franchising si vince o si perde in due
Circa un mese è andato in onda all’interno dell trasmissione Report un servizio dedicato al mondo del franchising: difficile trovare qualcosa di più approssimativo e generalizzante soprattutto da chi si fregia del titolo di reporter.
Nel programma viene dipinto un quadro in cui i franchisor ovvero le case madri sono organizzazioni create per ingannare poveri piccoli imprenditori con diabolici sotterfugi, viene analizzato in maniera approssimativa qualche caso controverso o lo si stabilisce come modello: “Un sogno che diventa un incubo” secondo il conduttore.
Questo “incubo” è però uno dei pochi modelli che ha resistito alla crisi economica: secondo il rapporto di Assofranchising 2008-2018, infatti, facendo una media di tutti i settori, il giro d’affari del franchising in Italia è cresciuto del 1,3% passando dai € 21,1 MLD del 2007 a € 23,9 MLD del 2017. Una tale crescita in anni di recessione e crescita 0 è possibile con modelli di business fallimentari oppure il franchising grazie all’ingegnerizzazione dei processi, al know-how, al valore dei marchi ed all’economia di scala riesce a garantire un modello vincente anche al piccolo imprenditore?
Di casi controversi ne esistorno certo, così anche come franchisor che hanno venduto sul mercato format non performanti ma aprire un negozio o un ristorante in franchising è un’attività che si fa in due: nessuno costringe un imprenditore ad affiliarasi ad una rete commerciale piuttosto che aprire la proprià attività in autonomia. Ciò che si può consigliare ad un imprenditore in cerca di format è informarsi e studiare il business in profondità prima di firmare un contratto di franchising. Alle controversie e quindi alla tutela sia del franchisor che del franchisee dovrebbe pensarci un sistema giudiziario veloce ed efficiente in tutta Italia, su questo farei un reportage…
Franchising è un patto non privo di rischi anche per “quelli di casa madre”, “i potenti” come li definisce il conduttore: c’è il rischio che l’affiliato gestisca male il punto vendita, la clientela, che non rispetti le procedure, non paghi i dipendenti, faccia evasione fiscale, non paghi le royalty ed i contributi marketing, acquisti e venda prodotti non conformi, etc. danneggiando così fortemente il marchio ovvero “i potenti”.
Fare impresa è un’attività libera in un’economia di mercato ma il concetto forse è estraneo ad un programma di un’azienda che è finanziata da abbonamenti forzosi. Addirittura nel servizio ci si spinge a dire per bocca della dottoressa Marta Fana, ricercatrice “ostinata a sinistra” come si descrive su Twitter, che i franchisee “Non hanno nessuna funzione reale dell’imprenditore se non quella spesso di rimetterci il proprio risparmio” e che “dovrebbero essere riconosciuti come dei dipendenti a cui vanno garantiti aumenti salariali molto forti“.
Il reporter continua commentando “Se sono bravi invece di un riconoscimento per il lavoro svolto gli viene offerto un nuovo negozio“, intervistando una franchisee che era evidentemente talmente scontenta del primo punto vendita da aver aperto il secondo con lo stesso marchio.
“I potenti”, cari signori reporter, sono anche idee azzeccate ma che sarebbero rimaste un piccolo negozio in provincia e che, grazie al franchising, sono diventate imprese nazionali o, adirittura, internazionali facendo ricchi piccoli commercianti che si sono affiliati a quell’idea e da gestori di un negozio sono diventati anch’esssi titolari di un’azienda.
Attaccare il franchising in maniera così approssimativa senza andare nel merito delle storie e delle questioni significa trasmettere sfiducia in un sistema che ha resistito alla crisi continuando a creare posti di lavoro, generalmente di qualità superiore rispetto ai posti di lavoro offerti da negozi o ristoranti autonomi; significa creare scandalo dove scandalo non c’è danneggiando di riflesso centinai di imprese e non credo che questo sia il servizio pubblico che la RAI è chiamata a fare.