Non è un ripiego ma una nuova strada per cominciare o ricominciare la carriera. L’avvio di un’attività autonoma è un mezzo di accesso al mercato del lavoro usato solo dal 23,2% degli italiani secondo l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (Isfol), ma è un canale d’ingresso con risultati migliori di altri. E se gli esperti dicono che il lavoro ormai non si trova ma si crea, il franchising potrebbe diventare un’alternativa al posto fisso. È una soluzione che assicura un rischio minore rispetto al partire da zero, grazie alla tutela del franchisor che mette a disposizione marchio, know-how e assistenza.
Nei primi sei mesi del 2017 l’occupazione con il franchising è cresciuta del 3% rispetto allo stesso periodo del 2016. È un aumento più alto di quelli registrati in precedenza. Secondo gli ultimi dati diffusi in occasione del Salone Franchising Milano, gli impiegati nel settore sono più di 200 mila. Quello che colpisce è l’età di chi si sperimenta in un franchising, che sia uno street food o un negozio più tradizionale.
Tra i nuovi franchisee ci sono molte persone che hanno avuto una carriera nel commercio, nel management e nel settore impiegatizio. Un articolo sull’Harvard Business Review Italia del presidente del Salone Franchising Antonio Fossati vede l’attività come una “soluzione occupazionale in un sistema economico maturo”, soprattutto per chi si trova a dover ricominciare da capo dopo la fine di un lavoro. Secondo Fossati, a investire sono soprattutto ex manager, favoriti dalla disponibilità di capitale accumulato, dalle competenze acquisite nella professione e dall’elemento «sogno» che li porta ad aprire una nuova fase della propria vita.
Negli ultimi dieci anni circa 10mila dirigenti sono stati espulsi da un’azienda e hanno dovuto inventarsi un lavoro diverso. Oggi si contano circa duemila manager che hanno avviato imprese con il franchising.
Antonio Andreoli, fondatore del portale “Lavoro & Formazione” che facilita l’incontro fra franchisor e franchisee, ci conferma questo trend:
«Molte delle richieste che riceviamo provengono da persone fra i 45 e i 55 anni, una fascia che fino a cinque anni fa era del tutto assente. Sono dirigenti con facoltose buonuscite che reinvestono. Il franchising garantisce un paracadute per chi non ha un vero e proprio spirito imprenditoriale».
«Ma c’è un’altra novità», racconta Andreoli, «anche i giovani fra i venti e i trent’anni sembrano più interessati al franchising. Si avvicina sempre più la fascia di età fra 20 e 24, mentre prima quella fra i 25 e i 34 anni era lo zoccolo duro”. I ventenni non hanno però le idee chiare, secondo Andreoli, che spiega come una persona spesso fa richiesta di informazioni allo stesso tempo a un brand che apre nella ristorazione e a un altro nei servizi alla persona. “Il problema più grande è il danno che creano al franchisor che deve selezionare fra aspiranti imprenditori che non hanno idea di quello che vogliono fare».
Su “Lavoro & formazione” un marchio riceve in media 300 richieste e apre uno o due punti vendita nel giro di un anno.
I settori merceologici più affermati sono l’alimentare, l’abbigliamento, il benessere, gli articoli per la persona e quelli per la casa. Dal 2016 c’è stato un balzo dell’area dei servizi, mentre quella del commercio specializzato si è ridotta quasi del 50%. In particolare, hanno successo i servizi alla persona come quelli per gli anziani e i centri di benessere. Sono sempre meno i franchisee che si orientano verso, ad esempio, un rivenditore di scarpe tradizionale.
L’investimento iniziale è molto variabile, da 70 – 80mila euro in su nella ristorazione, a meno che non si tratti di un più economico business di street food, fino a scendere alla fascia fra 10 e 35 mila euro per chi sceglie i servizi. Gli ex dirigenti sono quelli che impegnano più risorse. L’investimento medio d’avviamento di un’ex manager è superiore a quello medio dell’intero settore: il 18% di loro impiega tra i 50 e i 100mila euro, il 4% tra 100 e 500mila euro, il 2% una cifra oltre i 500mila euro.