Franchising e non concorrenza: necessaria la formazione iniziale
Il tribunale di Milano sancisce l’inapplicabilità del patto di non concorrenza in caso di accordi di franchising che non prevedano formazione iniziale.
Il tribunale di Milano nell’ordinanza del 31 gennaio 2017 si è espresso affermando che la previsione di un patto di non concorrenza post contrattuale inserito in un contratto di affiliazione commerciale (c.d. franchising) risulta inapplicabile in assenza di trasmissione all’affiliato da parte dell’affiliante del know how , con formazione iniziale specifica per lo svolgimento dell’attività oggetto di limitazione, secondo quanto previsto dall’art. 101 TFUE e dal Reg. (CE) n. 2790/1999.
IL CASO
All’inizio dell’anno 2016 una società di vendita di fiori e piante a livello nazionale stipulava con una società a livello locale un contratto di affiliazione commerciale (c.d. franchising) con la quale la concedeva il diritto di esercitare la vendita e al dettaglio di fiori e piante con utilizzazione del proprio marchio “F”. Il contratto prevedeva una serie di obbligazioni a carico dell’affiliato, tra le quali:
- obbligo quasi esclusivo di approvvigionamento di fiori e piante presso l’affiliante da parte dell’affiliato;
- obbligo di inviare copia del registro dei corrispettivi del mese precedente nonché tenere aggiornato il form online relativo agli incassi e vendite per categoria merceologica;
- obbligo di promozione dell’immagine del marchio;
- obbligo da parte dell’affiliato, in caso di cessazione degli effetti del contratto, di cessare la vendita con il marchio e distruzione di tutti i segni distintivi;
- obbligo da parte dell’affiliato di non svolgere alcuna attività concorrenziale per il periodo di un anno in ogni caso di risoluzione contrattuale.
Dopo alcuni mesi di attività, la società affiliante riteneva che l’affiliata fosse inadempiente rispetto ai patti di approvvigionamento e di promozione dell’immagine del marchio; inoltre, contestava il mancato pagamento di una fattura relativa alla fornitura di merce.
La società affiliata contestava, a sua volta, diversi inadempimenti da parte dell’affiliante stessa, adducendo dunque la risoluzione del contratto. Il franchisor effettuava, così, un sopralluogo 15 giorni dopo l’invio della diffida e riscontrava che il punto vendita era ancora attivo e che continuava ad utilizzare il marchio con tutti i segni distintivi: contestava, pertanto, anche la violazione del patto di non concorrenza.
La società affiliante promuoveva, quindi, un procedimento cautelare per inibire alla affiliata l’esercizio dell’attività di vendita al dettaglio di fiori e piante mediante l’utilizzo dei segni relativi al marchio , nonché la prosecuzione della medesima attività in concorrenza.
La resistente si costituiva in giudizio ritenendo che non vi fosse fondatezza delle pretese di controparte inoltre, rilevava che anche l’affiliante si sarebbe resa a sua volta inadempiente con la fornitura di merce di qualità scadente. Infine, contestava l’illegittima del patto di non concorrenza, in quanto non rispettoso della normativa costituzionale ed europea stante l’eccessiva ampiezza del patto medesimo, privo di qualsiasi limitazione territoriale.
Il Tribunale di Milano accoglieva parzialmente le domande della parte ricorrente e inibiva all’affiliato il diritto di utilizzare il marchio F . In relazione alla domanda di inibitoria fondata sul patto di non concorrenza, invece, il giudice rigettava la richiesta.
Nella controversia la parte ricorrente lamentava la violazione del patto di non concorrenza sancito nel contratto di franchising a seguito della risoluzione del rapporto contrattuale. La clausola invocata stabiliva che “l’affiliato non potrà esercitare direttamente o indirettamente attività concorrenti a quelle oggetto del contratto, non potrà affiliarsi, aderire o partecipare, in qualunque modo, compreso in qualità di dipendente, ad una rete in concorrenza con l’affiliante oppure a creare una lui stesso ed in generale a legarsi a qualunque gruppo o organismo o impresa, direttamente in concorrenza con F.” per il periodo di un anno.
Il giudice Istruttore, dopo aver richiamato la normativa nazionale ed europea in materia, si sofferma specificatamente sugli accordi di carattere verticale, ossia quelle restrizioni concertate concluse tra due o più imprese in cui ogni impresa opera, ai fini dell’accordo, ad uno stadio economico diverso, nella fornitura o acquisto di beni o commercializzazione di servizi.
Le norme comunitarie in tema di concorrenza agli accordi verticali e pratiche concordate prevedono alcune condizioni individuate dall’art. 5 Reg. 2790/1999, ossia:
- il patto di non concorrenza deve riguardare beni o servizi in concorrenza con i beni e servizi contrattuali;
- sia limitato ai locali e terreni su cui l’acquirente ha operato nel corso del periodo di vigenza del contratto;
- sia indispensabile per la protezione del know how trasferito dal fornitore all’acquirente;
- la durata dell’obbligo di non concorrenza sia congruamente limitata temporalmente.
Nella sentenza viene sottolineata l’importanza dell’aspetto di protezione del know how per valutare la necessità e la liceità di una clausola che preveda una restrizione alla concorrenza.
In fatti il principio della libera concorrenza è derogabile solo se volto a tutelare il trasferimento di quel patrimonio di conoscenze pratiche derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato (l. 129/2004, art. 1. co. 3 lett. a).
Proprio alla luce del fatto che risulta indispensabile la protezione del know how, il Tribunale in questo caso sancisce l’inapplicabilità di un patto di non concorrenza laddove l’affiliato possieda già un bagaglio di conoscenze tali da escludere che l’affiliante possa aver trasmesso una serie di conoscenze ed informazioni segrete . Infatti, come dedotto in sentenza, nel caso di specie era pacifico che l’impresa individuale affiliata possedesse già una pregressa esperienza professionale nel settore di attività oggetto del patto. Infatti nello stesso contratto di franchising le parti concordavano di ridurre drasticamente la formazione iniziale dell’affiliato.
In aggiunta a questo fondamentale aspetto, il giudice sottolinea che le normative comunitarie, a differenza dell’art. 2596 c.c., non prevedono l’alternatività, ma la cumulabilità della limitazione territoriale con la specifica individuazione dell’attività oggetto del patto di non concorrenza. Da ciò, se ne deduce che non solo il patto risulta inapplicabile per il mancato trasferimento del know how, ma anche per l’assenza di una qualsivoglia determinazione di tipo territoriale.
Il Tribunale, dunque, stabilisce il principio secondo cui in assenza di trasferimento di know how da un’impresa ad un’altra, diviene inapplicabile il patto di concorrenza post contrattuale posto a protezione e tutela dell’investimento dovuto al trasferimento del know how stesso.
Tratto da
Contratto di franchising e inapplicabilità del patto di non concorrenza ”
Commento all’Ordinanza del Tribunale di Milano 31.1.2017 di V. Lunelli e A. Scaglia